Morire per amare e dare vita

Alcuni vicini ai discepoli di Gesù chiedono di poterlo vedere. Vogliono un’esperienza diretta
con quell’uomo di Dio, capace di segni potenti dal cielo e di parole di vita eterna. È un po’
l’intuizione del profeta Geremia nella prima lettura che parla di una “nuova alleanza” cioè di
una relazione nuova con Dio vissuto non più come esterno ma vicino, dentro di noi. Ed è il
fine anche del cammino quaresimale: scoprire un volto nuovo di Dio, una nuova relazione
Gesù risponde a questo desiderio parlando della sua croce imminente e di tutto ciò che da
essa sgorgherà. È questo il punto centrale della sua persona e della sua missione. Senza la
sua croce egli è, né più ne meno, uno dei tanti uomini illuminati e saggi della storia, di cui
possiamo o no condividerne il pensiero. In Marco la risposta alla domanda che percorre tutto
il suo Vangelo “Chi è Gesù Cristo?”, avviene proprio nel momento della sua croce per bocca
del centurione: “Costui è veramente il figlio di Dio”.
Ma perché e che cos’è la croce di Gesù? Egli la spiega come serie di immagini e affermazioni.
“Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce
molto frutto”. Immagine illumina l’affermazione seguente: “Chi ama la propria vita, la perde
e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”. Sembra che la
legge della vita e quella dell’amore siano mosse dalla stessa logica: morire per vivere, perdere
per ritrovare. Amore è vita sono infatti, in Dio, strettamente legate tra loro. Ma il seme
ed il frutto non sono due ma la stessa realtà che si trasforma verso il meglio, per dare a sua
volta vita. Così la croce e la risurrezione. La croce è segno di un amore che accetta tutte le
trasformazioni necessarie che questa vita, segnata anche dal male e dal limite, impone, per
trasformarsi in un amore più grande capace di generare più vita.
Per amare di più bisogna rinunciare (diremmo dunque, seminare) un po’ della propria vita,
perché questi porti più vita. E più si semina più si raccoglie. Pensiamo all’amore di coppia,
pensiamo agli sposi che sanno aprirsi ad un figlio in più, all’amore dato ai figli.
Ma, per poter compiere questi passaggi dobbiamo credere che, colui che è Vita e che è
Amore, potrà compiere questo. Credere vuol dire fidarsi per imparare ad affidarsi. Per questo
descrivendo in poche parole il dramma della sua passione, la seconda lettura parla
dell’obbedienza di Gesù. Obbedire significa ascoltare e affidarsi in modo totale a Dio che
ha sempre un disegno più grande delle nostre paure umane. Allora ci sarà la “glorificazione”,
allora, compresa così, la croce non sarà rifiutata o nascosta, ma la contrario “attirerà tutti”
perché sorgente di vita e amore.

Don Francesco Maria

(foto tratta dal web)

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